Procedimento d’infrazione

Procedimento d’infrazione artt. 88-89 Trattato CECA; artt. 141-143 Trattato Euratom; artt. 226-228 Trattato CE

I ricorsi per infrazione sono promossi dinanzi alla Corte di Giustizia e riguardano il presunto inadempimento da parte degli Stati membri di obblighi derivanti dai trattati, dagli atti vincolanti (v.) e dagli accordi internazionali stipulati dalla Comunità. Possono essere suscettibili di ricorso per infrazione anche la mancata trasposizione nell’ordinamento nazionale di direttive (v.) comunitarie entro i termini stabiliti, e il mancato adeguamento alle sentenze della stessa Corte di Giustizia.
Sono legittimati a promuovere questo tipo di ricorso:
— la Commissione. Essa, qualora reputi che uno Stato membro non abbia rispettato un obbligo derivante dal trattato, emette un parere (v.) motivato; se lo Stato in causa non si conforma a tale parere entro il termine fissato dalla Commissione, questa può presentare ricorso alla Corte di Giustizia;
— ciascuno degli Stati membri. Ogni Stato membro, se ritiene che un altro Stato della Comunità abbia violato uno degli obblighi ad esso imposti dal trattato, deve rivolgersi alla Commissione; se quest’ultima non emette il parere entro tre mesi dalla domanda, lo Stato può ricorrere alla Corte di Giustizia anche in mancanza di tale parere.
La procedura prevede due fasi:
— la fase pre-contenziosa. Durante questo periodo la Commissione dà allo Stato in causa la possibilità di formulare le sue osservazioni e si conclude con la stesura del parere motivato. La Commissione invia allo Stato membro una lettera di messa in mora, che è una prima contestazione degli addebiti, alla quale lo Stato può rispondere facendo valere gli argomenti di fatto e di diritto di cui può valersi. Il passo successivo, da parte della Commissione, è l’invio di un parere motivato, nel quale sono indicate le infrazioni che si ritengono commesse, gli elementi di fatto e di diritto che ne sono alla base, nonché il termine entro il quale lo Stato deve porre fine alla sua infrazione. La ratio di questi due passaggi sta nel fatto di voler garantire al massimo il contraddittorio, e di trovare eventualmente una soluzione stragiudiziale. Inoltre, i motivi esposti nel parere motivato dovranno perfettamente corrispondere a quelli posti nel ricorso dinanzi alla Corte;
— la fase contenziosa. È la fase giurisdizionale che vede la Corte di Giustizia impegnata nella valutazione degli argomenti addotti dalle parti e dell’esistenza dell’infrazione.
Se la Corte accerta l’inadempimento, emette una sentenza che obbliga lo Stato membro responsabile ad attuare misure, scelte dallo stesso, per porre riparo alla violazione, senza prevedere un termine per l’adempimento. Prima della revisione operata dal Trattato di Maastricht , se lo Stato membro non osservava la sentenza era passibile della cosiddetta “doppia condanna” consistente in una nuova procedura d’infrazione; attualmente l’art. 228 prevede la possibilità, in questi casi, di imporre sanzioni pecuniarie.
L’importo della sanzione dovrà esser commisurato in base a tre criteri:
— la gravità dell’infrazione. Questo criterio è a sua volta determinato da due parametri: l’importanza della norma comunitaria violata e le conseguenze dell’infrazione sugli interessi e sul corretto funzionamento della Comunità;
— la durata dell’infrazione. Essa è misurata dal tempo intercorrente tra la notifica della prima sentenza e il termine fissato dalla Commissione per l’adeguamento;
— la capacità finanziaria dello Stato, calcolata sulla base del PIL e del numero di voti di cui dispone in seno al Consiglio.
Ci sono dei casi in cui la Commissione può saltare la fase precontenziosa ed adire direttamente la Corte. Esempi di questo tipo possono rinvenirsi nell’articolo 88, paragrafo 2, in tema di aiuti di Stato, nell’articolo 95, paragrafo 9, in tema di ravvicinamento delle legislazioni, nonché nell’articolo 298, paragrafo 2, quando uno Stato abusi del potere di adottare misure a tutela di interessi essenziali per la sua sicurezza, in deroga agli obblighi previsti dal Trattato.
Ipotesi diversa è quella prevista dall’articolo 237 del Trattato CE, in base al quale il Consiglio di amministrazione della Banca Europea per gli Investimenti (v. BEI), può proporre ricorso alla Corte di Giustizia per far constatare la mancata esecuzione, da parte degli Stati membri, degli obblighi derivanti dallo statuto della BEI. Analoga ipotesi è prevista dallo stesso articolo alla lettera d), dove è il Consiglio della Banca centrale europea (v. BCE) a poter esercitare i poteri riconosciuti alla Commissione nei confronti delle Banche centrali nazionali (v. BCN).